
racconto-erotico-giovanna-il-treno-e-la-vacanza-senza-biancheria
L’inizio del viaggio
Dopo sei mesi di turni serrati alla linea del telefono erotico, Giovanna sentiva di aver prosciugato ogni energia. Le maratone notturne a raccontare fantasie sussurrate, i clienti che si confidavano all’alba, la voce da modulare in mille sfumature… tutto l’aveva arricchita di esperienza, ma anche stancata fino alle ossa. La sua collega e migliore amica Cecilia, che condivideva lo stesso lavoro e la stessa fatica, propose una cura semplice: dieci giorni di libertà, un interrail improvvisato tra Italia e Francia, zaini leggeri e tantissima voglia di lasciarsi il mondo ufficioso alle spalle. Giovanna, senza pensarci troppo, accettò.
Avevano prenotato due biglietti “rail-pass” e progettato tappe lente: Genova, Nizza, Marsiglia, poi su fino a un minuscolo borgo provenzale dove Cecilia possedeva la chiave di una vecchia casa con giardino. Lì, diceva, il tempo si fermava e il rosmarino profumava l’aria. L’intesa tra loro era immediata: niente schedule precise, soltanto l’obiettivo di godersi la curiosità dei luoghi… e, sotto sotto, la sensazione frizzante di essere osservate, proprio come accade alle voci dietro la cornetta.
Il patto leggero
Pochi giorni prima della partenza, sedute al tavolo di una trattoria milanese, Cecilia propose un gioco: «Portiamo in valigia solo vestiti morbidi e… saltiamo la biancheria. Underwear-free challenge!». Giovanna scoppiò a ridere, un po’ sorpresa e un po’ intrigata. «Vuoi dirmi che saliremo sul treno, cammineremo per le vie di Marsiglia senza slip?». «Esatto» confermò Cecilia. Nessun intento trasgressivo estremo: solo il brivido filante di sentire l’aria sulla pelle, di giocare con la fantasia dei passanti, di flirtare con il mondo come due attrici in un film d’autore. Giovanna accettò, complici il rosso del Lambrusco e la complicità che le univa ormai da anni.
L’uscita dai binari quotidiani
Il giorno della partenza, Stazione Centrale pullulava di viaggiatori con trolley, bambini assonnati, zaini rigonfi. Giovanna indossava un abito chemisier color sabbia, sandali bassi, capelli raccolti in una coda disordinata. Cecilia puntò su un vestito a stampa floreale, sneakers bianche e occhiali da sole oversize. Sotto, davvero nulla. Ogni passo sul pavimento lucido dei binari sembrava amplificare la sensazione di freschezza sulla pelle. Salirono sul regionale per Genova con zaini leggeri: libri, crema solare, pareo e una piccola action-cam per fissare ricordi di viaggio.
Sistemate in scompartimento, fronte finestrino, si scambiarono un sorriso. Il treno scivolava tra campi verdi, e ogni vibrazione dei binari faceva ondeggiare il tessuto dei loro abiti. Non era volgarità, era libertà sottile: sapere che, forse, un viaggiatore distratto avrebbe notato un movimento, un’asimmetria, senza immaginare davvero il segreto nascosto. Giovanna, poggiando il gomito sul tavolino, si perse a osservare i riflessi di luce sulla campagna; Cecilia, con un filo di rossetto, disegnò pensieri sul taccuino. Quelle vibrazioni erano un sottofondo ipnotico, la colonna sonora del loro patto leggero.
Sguardi in corridoio
A metà percorso, Giovanna decise di cercare un caffè al vagone bar. Attraversò corridoi stretti, scontrandosi con bagagli e ragazzi in gita scolastica. Sentiva il vestito sfiorarle le gambe, la stoffa scostarsi appena a ogni passo. È un dettaglio che nessuno può notare, si disse, eppure il cuore correva più del treno. Tornando con due bicchieri fumanti, incrociò lo sguardo di un uomo sui cinquant’anni, seduto di traverso. Gentile—le fece strada con un sorriso—ma con quella scintilla di curiosità negli occhi. Giovanna la ricevette come una carezza distante: non servivano parole, bastava l’intuizione di un segreto condiviso a metà.
Rientrata nello scompartimento, raccontò la scena a Cecilia. Risero piano, senza malizia, come compagne di una sfida innocente. Luigi, rimasto a Milano per seguire il call-center, avrebbe sorriso orgoglioso: conosceva l’anima giocosa di Giovanna, la rispettava e la amava proprio per quella capacità di trasformare la quotidianità in un palcoscenico di emozioni lievi.
Genova di passaggio
Scesero a Genova Principe giusto il tempo di mangiare una focaccia al formaggio. Le stradine piene di saliscendi, i panni stesi e le persiane socchiuse restituivano un’atmosfera quasi segreta. Camminavano affiancate, i vestiti accarezzati da brezza marina. Ogni gradino della creuza era un promemoria: niente slip. Giovanna sentiva la stoffa aderire, poi distendersi a ogni passo; Cecilia, con un gesto istintivo, lisciava l’orlo del vestito come per assicurarsi che fosse al suo posto. In realtà era pura vanità, la gioia di essere consapevoli del proprio corpo sotto le luci del porto antico.
Sedute su un muretto con vista sulle barche, si scattarono una foto con la Polaroid. I ragazzi dietro il bancone del chiosco commentarono in dialetto un “bel sorriso”, occhi sfavillanti; forse notavano solo quello, forse intuivano il resto. Non importava: il viaggio era un libro aperto, ma con alcune pagine scritte in inchiostro invisibile.
Verso la Costa Azzurra
Nel pomeriggio ripartirono su un InterCity per Nizza. Questa volta il vagone era più affollato, turisti d’ogni età: una famiglia canadese, due pensionati toscani diretti a Monte Carlo, e un trio di cicloturisti con la bici smontata in sacche. Giovanna e Cecilia presero posto vicino all’uscita, le ginocchia sfiorate dal passaggio dei passeggeri. Quando il controllore arrivò, Giovanna si sporse a prendere i biglietti dal taschino frontale dello zaino: il vestito scivolò un istante oltre il limite del ginocchio. Nulla di proibito, un frammento di pelle, ma l’emozione si propagò come un segreto appena sussurrato.
L’amica cicloturista—capelli ramati, caschetto sottobraccio—fece un complimento sul colore dell’abito. «Ricorda la sabbia bagnata dal mare,» disse in inglese maccheronico. Giovanna ringraziò. Poi, sfidando se stessa, attraversò di nuovo il corridoio per buttare un involucro nel cestino, consapevole di quei mille occhi potenzialmente curiosi. Non era esibizionismo nudo e crudo; era l’arte di sottolineare la fantasia con dettagli minuscoli, lasciando spazio all’immaginazione altrui.
Notti di Nizza
Arrivate a Nizza, trovarono una pensioncina anni Cinquanta vicino a Place Masséna. Camera con balconcino, pavimento in piastrelle esagonali e un ventilatore rumoroso. Nella luce cremosa del tramonto, Cecilia tirò fuori un pareo e un bikini—pure senza slip, per coerenza con la sfida—e si avviarono verso la Promenade des Anglais. Lì, tra chi fa jogging e chi passeggia con il cane, si sdraiarono su teli a righe bianche e blu. Ogni volta che aggiustavano la posizione, la sabbia fine insinuava un brivido nuovo. Gli sguardi non mancavano: un gruppo di studenti, due signore curiose, un giardiniere di passaggio con l’annaffiatoio. Ma nessuno poteva davvero sospettare. O forse sì, ma il fascino stava proprio nell’incertezza.
La notte, nella stanza d’albergo, ridacchiarono ripercorrendo i momenti clou: la sensazione del vento a 80 km/h fuori dal finestrino, i gradini scoscesi di Genova, il corridoio del treno, la spiaggia illuminata dai lampioni. «Domani Marsiglia,» sussurrò Cecilia, spegnendo la luce. Giovanna si addormentò immaginando nuovi corridoi, nuove stazioni, nuovi spettatori inconsapevoli.
Marsiglia in bicicletta
Il giorno seguente noleggiarono due bici a scatto fisso e percorsero la Corniche verso le calette di Les Goudes. Il sellino, il movimento delle gambe, il tessuto leggero che si muoveva: era la variante perfetta della sfida. Pedalare richiedeva coordinazione; ogni volta che si alzavano sui pedali sentivano l’aria lambire il corpo senza barriera. Incrociarono altri ciclisti che, sorpassando, lanciavano un gesto di saluto o un «Bonjour!» rapido: chissà se si accorgevano di qualcosa di inusuale. Probabilmente no, ma l’ambiguità addolciva la fatica della salita con un brivido elettrico.
Parcheggiarono le bici vicino a un chiosco che vendeva pan bagnat e limonata fresca. Sedute sul molo, parlarono di lavoro, di quanto fosse intensa la vita dietro un microfono, di come l’immaginazione possa trascendere la realtà. «Ogni tanto dobbiamo ricordarci di vivere noi stesse le fantasie» concluse Giovanna. Cecilia annuì: «E di farlo in modo gentile, rispettoso, ma comunque autentico».
Il giardino provenzale
Ultima tappa: un paesino dell’entroterra, casette color ocra, roseti e campi di lavanda a perdita d’occhio. La casa di Cecilia, ereditata da una zia, aveva muri irregolari, travi a vista e un giardino segreto. Trascorsero i giorni successivi tra letture all’ombra e giri al mercato del villaggio. La sfida senza biancheria proseguiva come un filo conduttore: nei vialetti di ghiaia, sull’amaca, tra le aiuole di erbe aromatiche. Qui i voyeur erano i vicini lontani, forse un pittore che dall’altra parte del viale osservava la finestra, o un fioraio che si fermava a chiacchierare con curiosità su quelle due italiane sempre in abiti svolazzanti.
Una sera invitarono a cena la coppia di anziani che abitava accanto. Misero in tavola tappenade, ratatouille e un vino locale. Le gonne leggere sfioravano le sedie di legno, e il gioco segreto proseguiva sotto la tovaglia a quadretti, invisibile ma presente in ogni sorriso, in ogni interruzione di frase. Era erotismo gentile, fatto di consapevolezze silenziose e di libertà condivisa.
Ritorno con leggerezza
Dopo dieci giorni, salendo sul treno per il rientro, Giovanna e Cecilia sentirono la valigia più leggera di quando erano partite. Non era solo questione di biancheria lasciata volutamente a casa: era la sensazione di aver svuotato la mente dai rumori stanchi del lavoro, di aver riempito il cuore di immagini nuove e di carezze d’aria sulla pelle. Nel vagone, sedettero una di fronte all’altra. Luigi, via messaggio, chiedeva come procedeva il viaggio. Giovanna rispose con una foto sfocata di una gamba che spuntava sotto il tavolino, accompagnata da un semplice: «Libertà leggera». Luigi comprese il codice e rispose con un’emoji di sorriso complice. La sfida, il segreto, la tenerezza: tutto racchiuso in quel frammento di chat.
L’eco della vacanza
Arrivate a Milano, riportarono la valigia nel piccolo appartamento condiviso con Luigi. Nel silenzio della sera, raccontarono aneddoti divertenti, sguardi curiosi, quanto fosse liberatorio pedalare senza costrizioni. Luigi ascoltava, immaginando quei corridoi di treno, quelle stradine di Marsiglia, quei giardini provenzali. Nessuno di loro aveva bisogno di dettagli crudi per sentire l’intensità dell’esperienza: bastavano le sensazioni, le pause del racconto, il modo in cui Giovanna esalava un respiro quando ricordava il vento sul sellino.
La sfida si era conclusa, ma l’eco di quelle giornate sarebbe rimasta. Forse un giorno, in un’altra vacanza, avrebbero ripetuto il rituale. O forse avrebbero inventato un’altra prova—indossare colori abbinati, scambiarsi ruoli, chi lo sa. L’importante era custodire lo spirito del viaggio: leggerezza, complicità e un piccolo segreto condiviso con il mondo, a metà strada tra l’apparenza e il non-detto.